Storicamente la produzione della seta si diffuse in Italia attraverso la Calabria e le regioni meridionali intorno al secolo X: tante le ipotesi al riguardo, ma l’unico documento certo sulla sua diffusione in ambito calabrese è un rogito notarile citato dallo studioso e storico André Guillon, risalente al 1050 e nel quale si legge che tra i beni della Curia metropolitana reggina figurava un campo con migliaia di piante di gelso. Nel corso del tempo, infatti, l’espansione della bachicoltura locale rese indipendente la regione, e l’intera penisola, dall’importazione della materia prima dall’Oriente e dal Mediterraneo, e permise di esportare i filati in quasi tutti gli Stati pre-unitari.

Fra la fine del secolo IX e l’inizio del X Catanzaro e Palermo furono le prime città europee in cui si iniziò a lavorare la seta, e il motivo è da ricercare nell’impronta molto forte del retaggio orientale nella cultura di ambedue: bizantino per la prima e arabo per la seconda. Fu comunque Catanzaro a potersi avvalere del titolo di ‘Città della Seta’, essendovi stati effettivamente inaugurati sia la coltivazione del gelso sia l’allevamento del baco.

Nel capoluogo della Calabria “la nobile arte della seta raggiunse un tale livello di eccellenza che i tessuti serici venivano nominati negli atti notarili e testamentari subito dopo i gioielli e i sovrani favorivano quest’attività con privilegi e pergamene”.

Grande fu la prosperità raggiunta grazie a Carlo V, il quale nel 1519 “concesse alla sola Catanzaro, dopo Napoli, il Consolato dell’Arte della Seta, che implicava anche numerosi privilegi fiscali. L’industria della seta procurava benessere ai cittadini e fama alla città: le manifatture contrassegnate dal simbolo delle tre “V” (Vento, Velluti, Vitaliano, attributi allusivi alla ventosità, ai tessuti e al Santo Patrono della città) erano conosciute ed apprezzate in tutta Europa”

Transumanza - Medioevo e Ruralità